LA RIVINCITA DEL CUORE

LA RIVINCITA DEL CUORE

Storia vera di Mattia D., raccolta da Simona Maria Corvese

«Per anni ho sofferto in silenzio mentre Alice formava una famiglia con il mio migliore amico. Quando la rivedo è una madre single con tanti problemi e l’aria stanca ma un brivido mi corre lungo la schiena e subito so che l’amo ancora.»

Pubblicata sul n.35 – 30 agosto 2022, della rivista “Confidenze”

di Stile Italia Edizioni

Parcheggio l’auto accanto al marciapiede, controllando il numero civico della villetta. Faccio scorrere lo sguardo sulla proprietà, osservando i cespugli poco curati. Con le mani ancora sul volante, sposto lo sguardo per guardare fuori dal parabrezza della mia auto. Mi ci vuole qualche minuto per ricordarmi che sto facendo questo per aiutare il bambino seduto accanto a me e la donna che amo silenziosamente da anni. Nonostante tutto, questo non mi rende le cose più facili. Mi sono innamorato di lei all’università ma Alice ha sposato il mio migliore amico. Sono anche il padrino di loro figlio Luca, che è nato cerebroleso a causa di una sofferenza fetale  durante il parto: si stava soffocando con il cordone ombelicale. Ora il bambino ha 6 anni e segue una terapia con un fisioterapista in un centro riabilitativo. Numerosi volontari vanno anche a casa di Alice per aiutare Luca. Tra loro c’è anche mio figlio di 12 anni. Con un sospiro scendo dall’auto insieme ad Andrea. Raggiungiamo la porta d’ingresso, dove suono il campanello. Faccio un passo indietro mentre risuona debolmente in lontananza e,  aspettando che Alice venga ad aprirmi, mi guardo ancora intorno. Nel cortiletto l’erba non è stata tagliata e alcuni ciuffi spuntano dalle fessure del marciapiede che conduce alla porta principale. La vernice delle imposte è sbiadita e in alcuni punti scrostata. Sono sorpreso dalle condizioni della casa. Non vedo Alice da 5 anni ma possibile che suo marito non si occupi della proprietà? La porta si apre cigolando e io mi volto vedendo una donna snella di fronte a me. I suoi capelli biondi sono raccolti in una treccia portata in avanti e i suoi occhi color acquamarina mi osservano con cautela. Rimango senza fiato e un brivido  di eccitazione mi corre lungo la schiena. Credevo che questi anni di distanza avrebbero spento i sentimenti che provavo per lei ma mi sbagliavo. Alice è ancora più bella di come la ricordavo. “Ciao, benvenuti”, dice a me e Andrea con un sorriso colmo di gratitudine che mi scalda il cuore, poi ci diamo una calorosa stretta di mano. “Prego, entrate”. Alice si allontana dalla porta, permettendoci di entrare nel piccolo atrio della casa. Mentre l’esterno ha bisogno di qualche lavoro, l’interno è un’altra cosa. È ben arredato, odora di pulito, con solo un accenno di profumo di cibi cotti nell’aria. Mentre il mio sguardo vaga per la stanza, noto nel soggiorno un ragazzino dai riccioli castani, su una sedia a rotelle. È Luca. “Vieni, Andrea, ti presento Luca”, dice Alice, introducendoci nel soggiorno. Davanti al bambino c’è un cavalletto per pittori con montato un foglio e, sul tavolino accanto, una tavolozza dei colori con un pennello. Andrea, senza dare il tempo ad Alice di dargli istruzioni, afferra il pennello e lo mette nella mano di Luca. “Disegniamo un fiore, Luca?”, gli propone e, tenendogli la mano, iniziano a dipingere sulla tela. Alice e io rimaniamo a bocca aperta: sembra che i bambini si conoscano da sempre. Luca gradisce la presenza di mio figlio e, quando lui nell’avvicinarglisi ancora un po’ urta la carrozzina e la fa ondeggiare, prorompe in una risata argentina. “Ti piace, Luca? Allora facciamolo ancora!”, gli dice Andrea e gli fa di nuovo ondeggiare delicatamente la sedia a rotelle. Luca ride ancora. Mi volto verso Alice e vedo i suoi occhi velarsi  di lacrime per la commozione. Le faccio coraggio, posandole una mano sul braccio, con un tocco lieve. “Grazie”, mi risponde lei, ricacciando indietro le lacrime. Mi fa cenno di seguirlo e ci andiamo a sedere sul divano. “Luca non camminerà e non parlerà mai”, mi dice “non afferra gli oggetti ma riesce a fissare lo sguardo e questo mi permette di comunicare con lui col contatto visivo”. “I bambini cerebrolesi hanno un loro potenziale da esprimere, Alice. Anche quando l’aspettativa è quella di ottenere solamente un sorriso da loro”, le dico per confortarla. Lei annuisce “Vederlo ridere poco fa per me è stato come assistere a un piccolo miracolo, anche se non riconosce le persone”. “Andrea è un estraneo per lui ma tu non lo sei: si è illuminato quando sei entrata nel soggiorno”, ribatto e Alice mi da ragione. “Come vi organizzate tu e tuo marito con gli orari di lavoro per accudirlo?”. Alice si rattrista. “Edoardo non vive più con noi”. Io sono incredulo. Dopo il loro matrimonio mi sono immerso nel lavoro, come pediatra. È stato un modo per superare la delusione amorosa. Sono tornato per il battesimo, un anno dopo ed erano ancora insieme. “Cosa è successo?”, le chiedo ancora sorpreso e dispiaciuto. Alice mi offre una tazza di te caldo. Nel porgermela le nostre dita si sfiorano e una scarica elettrica mi percorre il braccio. “È stato lui ad andarsene”, mi rivela. “Voleva mandare Luca in un ospizio ma io non ero d’accordo. Non sono una madre coraggio con un bambino speciale: sono una madre che vuole vivere con suo figlio. Edoardo mi ha detto che non ce la faceva a starmi accanto con un figlio in quelle condizioni”. Tra noi due cala un silenzio imbarazzato. Edoardo è sempre stato un superficiale. Pieno di ragazze fino a quando si è innamorato di Alice. Abituato ad avere tanti soldi in mano e a vivere una vita dorata, aveva presa facile sulle donne, con la sua spensierata allegria. Non potevo dirlo ad Alice, ma il suo gesto codardo di abbandonare la famiglia non mi aveva stupito. “Forse un giorno tornerà”, le dico ma Alice scuote la testa. “No, è finita”. Io resto senza parole. “Da quando mia madre è andata in pensione si occupa lei di Luca mentre io sono in ufficio”. Io annuisco sollevato. “Senti, Alice, io ora abito nel vostro quartiere. Mi piacerebbe diventare il suo pediatra. Cosa ne pensi?”. Il volto di Alice si illumina  “Grazie, Mattia. Non osavo chiedertelo e non immagini quanto mi faccia piacere”. Sono felice anch’io di poterle essere d’aiuto. “Senti, raccontami un po’ di te e di tuo figlio. Non sapevo fossi diventato padre”. “Padre affidatario”, preciso. “È accaduto un anno fa. Da quando ho rotto con la mia ex, che ora fa carriera come ginecologa. Non mi sono neppure soffermato molto a riflettere sulla fine della nostra relazione nell’ultimo anno: non m’interessa sapere altro di lei. Desideriamo cose diverse: lei vuole sempre di più, io voglio semplicemente aiutare le persone”, le spiego. Alice annuisce attenta. “Ho conosciuto Andrea un anno fa. È un mio paziente ed era reduce da un affido familiare andato male. Le aspettative della famiglia affidataria che lo ha accolto erano centrate più su un ritorno di loro prestigio sociale, che sul bambino, il suo vissuto, i suoi bisogni. Andrea è bravo a scuola e stimato da compagni e insegnanti. Ha bisogno solo di affetto, non di essere raddrizzato. Non ottenendo il prestigio che si aspettavano, lo hanno restituito, cercando di farlo passare per il ragazzino che non voleva farsi aiutare”. Alice guarda Andrea che sta dipingendo con Luca e scuote la testa “Povero ragazzo”. Io annuisco “sì, perché così ha subito il trauma di un doppio abbandono”. Rimaniamo un istante in silenzio, pensierosi “Noi due però stiamo benissimo insieme e con me Andrea è rifiorito. Non credevo di essere capace di affetto paterno e invece mi è venuto tutto spontaneo!”. “Sono così felice per te, Mattia: ho sempre pensato che tu saresti stato un ottimo padre. Non mi sbagliavo”. Gli occhi di Alice si velano di tristezza e le leggo nello sguardo cosa sta pensando. Sposare Edoardo è stato uno sbaglio e forse anch’io avrei meritato una possibilità con lei. Ci guardiamo e sentiamo una connessione emotiva unirci. Io faccio un respiro profondo per rallentare i battiti del cuore. Lei arrossisce lievemente.

Nelle settimane seguenti convinco Alice a far vivere a Luca nuove esperienze all’aperto, prima che l’autunno ceda il passo all’inverno. “In città sono arrivate le giostre”, le dico “Perché non ci portiamo i bambini questo sabato?”. Lei esita e comprendo le sue paure ma accetta. Arrivati al parco divertimenti Luca è visibilmente felice ed emette gridolini di gioia. Ci sono clown, bambini che si divertono sulle giostre e ascoltano la musica a tutto volume, voci che echeggiano nei stretti viottoli. Dalle bancarelle arriva l’odore di frittelle cotte in abbondante olio caldo, ma anche quello di pop corn e zucchero filato. “Voglio far assaggiare lo zucchero filato a Luca” dice Alice avvicinandosi a una bancarella per acquistarlo. Io prendo invece dei palloncini colorati e, con l’aiuto di Andrea, lego i fili ai manici della carrozzella di Luca. Luca prende lo zucchero filato dalle mani di Andrea, che lo imbocca. A un certo punto Luca comincia a dondolarsi con il busto avanti e indietro e contemporaneamente si porta le braccia verso la testa, con le mani strette a pugno. Andrea e io ci voltiamo verso Alice per capire “Fa così quando ha fame o se gli piace qualcosa. Ci sta dicendo che vuole ancora  zucchero filato”. Vedere il modo in cui Alice e suo figlio comunicano è stato un altro piccolo miracolo. “Alice, posso portare Luca sul trenino turistico che fa il giro dei quartieri?”, chiede Andrea. Io guardo Alice, che subito dice di no. “Non preoccuparti, Alice”, la incoraggio. “E va bene, andiamoci”, mi dice mentre siamo tutti e due seduti su una panchina. Le poso una mano sul braccio con delicatezza “No, Alice. Lascia che Luca ci vada con il suo amico Andrea. Fidati, è un ragazzo responsabile”, insisto e riesco a convincerla. I bambini salgono in prima carrozza, aiutati dal conducente, mentre noi due saliamo sull’ultima. Quella sera torniamo a casa soddisfatti della giornata ma nella notte ricevo una telefonata da Alice. “Mattia, mi dispiace disturbarti ma Luca non sta bene: ha la febbre alta e si lamenta”. “Vengo subito”, rispondo. Mentre visito il bambino, vedo che fa come nel pomeriggio: si dondola con il busto ma con più foga e porta le braccia con le mani a pugno verso il ventre. “Fa così quando ha il mal di pancia”, mi spiega Alice, preoccupata. “È probabile che lo abbia ma non preoccuparti per la febbre. Abbiamo fatto un po’ tardi stasera e l’aria era diventata fredda. Un antipiretico basterà per far calare la febbre  poi domani mattina ripasso a visitarlo”, la rassicuro, studiando il suo sguardo. È stanchissima e non so come faccia, da anni, a far funzionare il lavoro e la cura del figlio “Hai bisogno di riposarti: non hai una bella faccia”, le dico con la confidenza di un amico. “È stato un periodo duro al lavoro. Sono anche stanca di essere giudicata dalla mia famiglia che aveva cercato di mettermi in guardia da Edoardo. Solo io non ho capito che persona era. Comunque grazie per il complimento”, mi risponde piccata. Io sorrido e sospiro rassegnato “È l’effetto che faccio a tutte le donne: quando apro bocca riesco solo a indispettirle”. Alice mi sorride dolcemente e mi fa una carezza sulla guancia “Sei una brava persona e sono orgogliosa di essere tua amica”. Al suo tocco rimango senza respiro e vorrei essere qualcosa di più di un amico per lei. Imbarazzato metto lo stetoscopio nella borsa e, salutandola, torno a casa. Nei giorni seguenti Luca guarisce del tutto ma Andrea e io prendiamo  l’influenza. Chiamo Alice “Per qualche giorno non potremo venire da te. Siamo tutti e due a letto con la febbre”.  “Non preoccuparti”, risponde lei “Più tardi vi porto qualcosa da mangiare”. Sto per dirle di non disturbarsi, ha fin troppo da fare ma lei ha già chiuso la chiamata. Verso sera Alice suona alla porta ma ad aprirle è Laura, la mia ex fidanzata. Io sono seduto sul divano e vedo Laura che prende dalle mani di Alice un cestino termico nel quale ci sono le cose che ha cucinato per noi. È sorpresa nel vedere Laura. “Ti ringrazio cara, per il disturbo. Mattia mi ha detto tutto. Ora mi occupo io di loro ma sappi che noi due abbiamo apprezzato molto la tua gentilezza”. Mi arrabbio per quello che Laura ha appena detto: sta facendo sembrare le cose come non sono. Infatti Alice mi si avvicina per salutarmi e, sottovoce, mi dice: “Mi avevi detto che non eri più fidanzato”. Ha l’espressione di una persona ferita e mi è difficile sostenere il suo sguardo. Lei fa per voltarsi ma io le prendo la mano “Non sabotare tu la possibilità di volerci bene, Alice”. “La fiducia è tutto in una relazione: è essenziale”, mi mormora e se ne va.

Qualche giorno dopo vado a farle visita per chiarirmi. Le spiego che è stata Laura a tentare un riavvicinamento tra noi due. “So che saremmo diventati una coppia potente nel mondo medico della nostra città, lavorando fianco a fianco”, le dico sedendomi al tavolo della cucina. Alice  mi volta le spalle, intenta a preparare la cena ma si ferma, colpita dalle mie parole. “Ma non so se avremmo avuto abbastanza tempo per prenderci cura l’uno dell’altra e tenere vivo il romanticismo nella nostra relazione. Avremmo dovuto impegnarci molto e ci saremmo riusciti, se solo lo avessimo voluto”. Alice mette la minestra sul fuoco,  poi viene a sedersi al tavolo accanto a me, offrendomi tutta la sua attenzione. “Ora, a distanza, penso che Laura non volesse investire sulla parte affettiva della nostra relazione. La crepa nel nostro rapporto è diventata sempre più evidente. La cosa che mi ha convinto ad arrivare alla rottura è stato il suo disinteresse a costruire una famiglia”.

Quando Alice mi sorride rasserenata, sento un brivido fino alle dita dei piedi. “È con te che voglio costruire il mio futuro, Alice”. Le prendo la mano e l’accarezzo lentamente “Non è così che volevo chiedertelo ma so che con te non farei nessuna fatica a tenere vivo il romanticismo. Vogliamo dare una possibilità ai nostri sentimenti?”

“Pensavo di aver perso la mia occasione”, mi dice.

I suoi occhi umidi di lacrime sono di una bellezza ancora più sorprendente.

Io le sorrido, intenerito “Ti amo, Alice e voglio prendermi cura di te e Luca come una famiglia”, le dico abbracciandola, poi ci scambiamo un lungo e appassionato bacio.

Sono passati tre anni da quel giorno e Andrea, Luca, Alice e io siamo ora una vera famiglia.

“La rivincita del cuore”, copyright © 2022, Simona Maria Corvese.

 

 

 

 

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