L’IMPERATRICE DEI CARUGGI incipit

 

Elodie Fieschi, la protagonista.

L’IMPERATRICE DEI CARUGGI

di Simona Maria Corvese

La protagonista di questa storia, contrariamente a quello che i lettori potrebbero essere portati a immaginare, non è una Cenerentola.
Cenerentola è perfetta. Elodie è imperfetta.
Non allarmarti,  Elodie non è un personaggio negativo. Anzi…
È la nostra eroina ma anche un personaggio che ha sbagliato.
Elodie ha tradito la fiducia di una persona per lei importante ma ha capito il suo errore e con grande coraggio affronterà un duro percorso interiore che la trasformerà.
I genitori di Elodie sono stati accusati ingiustamente di aver commesso un misfatto di cui non sono stati autori. L’infamia e l’emarginazione sono ricadute anche su di lei, che ai tempi dell’accaduto era una bambina.
Crescendo Elodie ha covato risentimento verso quella società di nobili che ha complottato contro la sua famiglia.
La determinazione a scoprire i veri colpevoli la ha portata a commettere un errore.
L’ostacolo più difficile che Elodie dovrà affrontare sarà il pregiudizio di chi le ha messo addosso un marchio d’infamia e non vuole darle una seconda possibilità. Di chi vuole che rimanga per sempre ai margini della società.
Tutti dovrebbero avere una possibilità di riscatto e il conte Florian Berger (il protagonista maschile) sembra essere l’unico a pensarla così.
… per paradosso proprio lui, la cui fiducia è stata tradita, è  l’unica persona a comprendere le ragioni del comportamento di Elodie e a concederle ancora fiducia.
Condivido qui due brani dell’incipit.

Simona

p.s.: uno dei temi della storia è la fiducia e l’altra faccia della medaglia: la mancanza di fiducia, con tutte le conseguenze cui può portare.

Nota: Palazzo Albericus è un nome di finzione, che ho inventato, come anche il cognome nobiliare Spinoli.

INCIPIT

Genova, giugno 1842, in un caruggio del centro storico…

“Signore, per favore, ci aiuti. Ci hanno derubato e non abbiamo più soldi per tornare a casa con una carrozza pubblica”.

Florian si fermò di scatto nel caruggio: l’eco di quella voce femminile gli giunse a scoppio ritardato. Davanti a lui una ragazza povera con il fratellino, continuava ad attorcigliare intorno a un dito una lucida ciocca di capelli scuri, sfuggita allo chignon.

“Oh, mi scusi. La musica sovrasta la sua voce”. Il suo tono era caldo e, senza rendersene conto, Florian aveva spostato il peso inclinandosi verso quella bella ragazza.

Elodie arrossì. Che cosa sto facendo? Come posso permettere che accada ancora?

Con un sorriso che gli arrivava fino agli occhi, Florian indicò un gruppetto di giovanissimi artisti di strada che cantava a squarcia gola lì vicino nel caruggio, accompagnato da una musicista cieca che suonava una ghironda scordata. “Intendevo loro che intrattengono i passanti”.

Impietosito, Florian estrasse dalla tasca dei pantaloni  un sacchetto di velluto nero. Le monete che conteneva tintinnavano.

Elodie e il bambino che stava aggrappato a lei sgranarono gli occhi.

Florian lo aprì e ne consegnò una a Elodie.

Il piccolo le tirò la gonna “Cosa c’è scritto?” e alzò il visino verso di lei, in attesa di una risposta.

Elodie gli fece una carezza e si chinò verso di lui “Ducato Sabaudo di Genova”. Voltò la moneta “e questo signore è Re Carlo Alberto. È una moneta da cinque Lire”. Si rialzò e tornò a rivolgersi a Florian. “Posso chiedervi il vostro indirizzo, signore? Intendo restituirvi il denaro. Vi sarò sempre grata per il vostro nobile gesto”.

Florian prolungò il contatto visivo per studiarla ma Elodie abbassò gli occhi a terra, incapace di sostenerlo. Aveva la gola secca e si biasimava per quello che stava facendo: il tempo sembrava non passare più.

Quante volte ho usato lo stesso espediente? Perché allora mi faccio scrupoli con questo straniero che ignora i miei intenti? Così rischio di farmi scoprire.

“Consideratela una buona azione, signorina. Vi libero da qualsiasi obbligo nei miei confronti. È stato un piacere aiutare una ragazza in difficoltà. Le auguro una buona giornata”. Si era posato una mano sul cuore,  poi l’aveva abbassata.

Una dolce sensazione di calore si riverberò in tutto il corpo di Elodie. Quel gesto aveva smosso qualcosa nel suo cuore indurito dalla vita.  Arretrò di due passi, turbata da quella disinteressata gentilezza che nessuno le riservava più da molto tempo.

Florian si sentì pieno di energie: lei era lì, incantevole, a portata di mano e questo era l’effetto che gli faceva. Ebbe l’impulso di aiutarla.

“Tranquilla, sono stato anch’io un ragazzo di strada… ma voi non potevate sapere queste cose sul mio conto”.

Gli occhi di Elodie si fecero due fessure e lo studiavano ora con aperta diffidenza. Nell’atteggiamento di quella ragazza Florian rivide il suo, di molti anni addietro.

“Perdonatemi, Signore ma non ne avete l’aspetto. Mi sembrate un nobile”. Con le spalle indietro e il petto in fuori, Elodie assunse un portamento fiero, degno di una regina. Della sua espressione smarrita di poco prima non c’era più traccia.

“E questo vi ha deluso?”.

Un brivido  di piacere gli corse lungo la schiena: gli piaceva l’energia di quella ragazza e si stava divertendo a stuzzicarla.

Elodie però troncò il discorso “Grazie ancora per l’aiuto, Signore. Addio”.

Florian fece per andarsene ma si fermò sui suoi passi “C’è una cosa che potete fare per me, però”.

Lei lo guardò dritto negli occhi. Gli diede tutta la sua attenzione ma distolse lo sguardo subito dopo. Lanciava ripetute occhiate sopra la linea delle spalle di Florian, per controllare la situazione nel caruggio.

Nell’aria Florian annusò l’odore dell’olio rovente che gli ambulanti usavano per friggere pesciolini, che poi vendevano ai passanti in coni di carta, come cibo di strada.

“Credo di essermi smarrito nei caruggi. Non riesco più a trovare la strada per Palazzo Albericus”.

Alzò lo sguardo al cielo e corrugò la fronte. Nuvole grigie sospinte dal vento e lampi preannunciavano l’arrivo di un temporale estivo per quella sera.

“Lei non è di qui, vero?”. Elodie si guardava ora intorno come in cerca di una via d’uscita e Florian non poté far a meno di notarlo. Quegli occhi inquieti, ai quali non sfuggiva nulla, lo attraevano.

“Vengo da Vienna e sono qui per i festeggiamenti delle nozze del Principe ereditario. Purtroppo è da un po’ che manco da Genova e non riesco più a orientarmi bene”.

“Non si preoccupi è qui nel centro storico”. Elodie gli indicò con il dito la strada poi si congedò. Aveva fretta di allontanarsi da lì.

Un commerciante si affacciò alla soglia del suo negozio. “Signore, venga a vedere i miei pizzi pregiati” richiamò l’attenzione di Florian con un gesto della mano “Faccia un bel regalo alla sua amica e conquisterà il suo cuore” era stato per caso testimone di tutta la scena tra Florian ed Elodie.

Florian scoppiò a ridere “Voi traete facili conclusioni, signore. Quella ragazza non è una mia amica. Non la conosco” Un tuono fragoroso lo fece trasalire. “Grazie, comunque. Sarà per un’altra volta”.

L’acquazzone non si fece attendere e lo colse con tutta la sua potenza, senza dargli il tempo di ripararsi. “Meglio così, almeno smorzerà questa calura insopportabile”.

In men che non si dica i caruggi si fecero deserti: tutti correvano alla ricerca di un riparo.

“Accidenti al temporale!” imprecavano alcuni.

“Finalmente la pioggia è arrivata!” gridavano altri con voci concitate.

I riccioli chiari che sfioravano la nuca di Florian, fino a poco prima madidi di sudore, erano ora completamente bagnati. Si passò le dita tra un ciuffo di capelli incollati alla fronte, che gl’impediva la vista e lo scostò.

“Ehi, spostati!”  Un venditore ambulante gli sfrecciò accanto con il suo carretto “Non vedi che devo mettere in salvo la merce?”  una ruota prese in pieno una pozzanghera e lo schizzò d’acqua fredda.

Florian aveva sopportato le zanzare, più fastidiose del solito per l’arrivo del temporale ma non poteva sopportare la pioggia. Era esausto dopo un lungo viaggio: desiderava assolvere il prima possibile i suoi obblighi di consegnare il messaggio che portava da Vienna e andare a casa a farsi un bagno ristoratore.

L’acqua gli scivolava lungo in collo, insinuandosi all’interno del colletto della giacca e gli gocciolava sul volto. Allungò il passo. Ormai era bagnato fradicio e non c’era modo di asciugarsi. Per fortuna era arrivato ma di fronte all’ingresso del palazzo si accorse di non avvertire più il tintinnio delle monete nella tasca dei pantaloni. “Non ho più il portamonete!”.

Gli ripassò davanti agli occhi tutta la scena nel caruggio: il bambino che accompagnava la giovane donna e che gli si era avvicinato quando lui si stava rimettendo in tasca il sacchetto di velluto. Lei che aveva continuato a parlargli e a ignorare il fratellino. Lui che aveva mantenuto la sua attenzione concentrata su quella bella ragazza dagli occhi scuri di cerbiatta. “Che ingenuo che sono stato!”

Tornò indietro di corsa ma della ragazza e del bambino non c’era più traccia.

Riparatasi nell’androne di un antico palazzo, insieme al suo piccolo amico, Elodie vide passare di gran carriera l’uomo che loro due avevano appena derubato.

Il bambino corrugò la fronte. “Elodie, è lui!” e puntò il dito verso Florian.

“Zitto!” sussurrò lei. “Non possiamo farci scoprire”.  Aveva il cuore in gola e d’istinto socchiuse il portone che avevano dimenticato aperto. Si appoggiò con la schiena al muro, chiuse gli occhi ed emise un profondo respiro per calmarsi. “Per quanto ancora dovrò condurre la vita di una ladra?”.

 

BRANO 2 incipit

“Elodie!” Un monello con i calzoncini corti saltò dentro la camera dalla finestra della mansarda della ragazza “C’è un signore sospetto giù al portone. Sembra un nobile e ha chiesto di te”.

Elodie posò sul letto il violino che suonava per prepararsi a un concerto e si affacciò al balcone dell’orfanotrofio. L’edificio che chiamava casa cadeva a pezzi: il muro era scrostato e alcune parti presentavano estese macchie d’umidità. Guardò giù in strada ma non vide nessuno.

Si voltò verso il bambino e rientrò in camera “Non voglio più che cammini sui tetti per venire qui, Gianni. Se lo sapesse tua madre si preoccuperebbe  da morire. Puoi venire a mangiare da me tutte le volte che vuoi ma per favore passa dalla porta d’ingresso giù in strada”.

Il suo tono di voce non ammetteva repliche ma il bambino scrollò le spalle senza darle retta “La padrona di casa ha fatto entrare quel tizio e mi sa che vuole parlare con te!”.

In quel momento bussarono alla porta. Elodie guardò dritta in volto il moccioso, perplessa. “Nasconditi sul balconcino e non farti sentire”. Il bambino scivolò silenzioso fuori dalla stanza ed Elodie andò ad aprire la porta. “Conte Spinoli, a cosa devo la vostra visita? Vi manda vostra madre?”. Le tremava il mento ed era impallidita ma dubitava che Donna Teresa potesse mandare il figlio a portarle qualche messaggio. Quello era un compito che avrebbe potuto svolgere uno dei servi.

L’uomo le rivolse il suo sorriso più affascinante “Chiamatemi pure Angelo. Frequentate casa nostra da quando eravate una bambina. Potreste essere una mia sorella minore”.

Il modo in cui la stava guardando non era però quello di un fratello maggiore. Un brivido di paura le corse lungo la schiena. Trovarsi a contatto con quell’uomo, abituato a ottenere tutto quello che voleva e famoso per essere un libertino, la inquietava.

“Perché vi ha fatto salire la padrona di casa? Non ricevo uomini nella mia stanza. Per nessun motivo”. Il suo portamento era fiero, con il mento alto e la schiena eretta ma le tremavano le gambe.

Il conte Spinoli emise una risata fragorosa, piegando la testa indietro. “E voi avete il coraggio di chiamare stanza questo fetido tugurio? Se vi decideste ad accettare la mia protezione, vi toglierei subito di qui e vi farei condurre la vita di una signora”.

“Non ho bisogno del vostro aiuto”

Il conte avanzò verso di lei. Elodie arretrò di un passo e appoggiò una mano sul comodino per non perdere l’equilibrio. L’uomo si fermò a una spanna da lei e la guardò dall’alto della sua statura. Tese un braccio e con una mano la sorresse per il gomito. “Oh, sì che ne avete bisogno. Se solo non foste così orgogliosa”. Il suo contatto visivo costante non fu invasivo ma si fece confortante. “Sono un amante generoso: non sarebbe così male accettare le mie attenzioni, Elodie. Sono sicuro che vi piacerebbero”.

Elodie distolse lo sguardo e si staccò dalla presa della sua mano “Perché siete qui? Cosa volete da me?”.

“Voglio che vi infiltriate nel palazzo del conte Berger”. Il conte lasciò che Elodie prendesse ulteriori distanze da lui.

“Perché?” ormai Elodie era con le spalle al muro di quella soffocante mansarda.

“È una spia potente, al servizio degli Asburgo e dei Savoia. Ho tuttavia  ragione di credere che sia lui a custodire la lista dei traditori che cospirano contro la casa reale”.

“E se io mi rifiutassi di collaborare?”.

“Vi farei cacciare dalla padrona di casa e allora sì che accettereste le mie attenzioni”. Un luccichio di vittoria brillò nei suoi occhi.

“Non conosco il conte Berger. Come potrei introdurmi nella sua casa?”. Elodie era pallida come un cencio. Aveva tentato una mossa disperata, consapevole che quell’uomo le aveva già dato scacco matto.

“Vi presenterò io alla festa. Anzi, meglio ancora, chiederò a mia madre di farlo. Muore dalla voglia di vedervi accasata” e proruppe in un’altra risata di beffa. “Ci siamo intesi, Elodie? Non cercate di fare il doppio gioco perché voi non avete nessun potere su di me”.

Fece scorrere lo sguardo, carico di desiderio, dalla testa ai piedi della ragazza, le rivolse un ultimo sorriso e se ne andò.

Elodie, svuotata dalla tensione che le aveva procurato quella conversazione, si lasciò scivolare lungo il muro. Si accasciò a terra, con la schiena appoggiata alla parete. Raccolse al petto le gambe piegate, cingendole con le braccia “Perché Spinoli vuole che io trovi la stessa lista che sto cercando? Perché mai dovrebbe custodirla una persona che non appartiene alla nobiltà genovese?” chinò la testa sulle ginocchia e prese a dondolarsi come se quel movimento potesse portarle una risposta “Come faccio a tirarmi fuori da questo guaio?”.

Tutta quella faccenda le aveva procurato una terribile emicrania. In quel momento si ricordò del monello nascosto sul balconcino. Doveva aver sentito tutto ma era troppo piccolo per cogliere le sfumature di quella conversazione.

Si alzò da terra e lo chiamò. “Vieni dentro, Gianni. Se ne è andato. Puoi farmi compagnia se ti piace quello che suono”.

Lo osservava ma i suoi pensieri erano altrove. Sentiva ancora l’umidità del pavimento che le era entrata nelle ossa delle gambe e non poteva smettere di ragionare, alla ricerca di una soluzione. “Ormai sono troppo grande per essere ospitata in questo orfanotrofio. Quell’ubriacona della padrona spende in alcool buona parte dei soldi che riceve per far andare avanti questo posto. Spinoli le deve aver dato di sicuro una mancia per salire fin qui”. Rabbrividì al pensiero della minaccia del conte Spinoli ma cercò di rassicurarsi. Lei era la persona ideale per occuparsi di quei ragazzi: era giovane e forte. “In fin dei conti costo poco. Le basta darmi un tetto sulla testa, un piatto di minestra e una stanza tutta per me, in soffitta. Ma quanto ci metterebbe a rimpiazzarmi con altre ragazze povere se io osassi lamentarmi con lei?”.

“Elodie, lo sai che hai gli occhi che ti brillano quando suoni?”. Elodie si ridestò dai suoi pensieri, alle parole di Gianni. Il bambino entrò in punta di piedi e andò a sedersi a gambe incrociate vicino al muro.

“È l’effetto che mi fa la musica: mi da tanta gioia”.

(continua)

“L’imperatrice dei caruggi”, copyright © 2023 Simona Maria Corvese.

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