LA MISURA DEL SUO CUORE
Storia vera di Eleonora V., raccolta da Simona Maria Corvese
Sto cercando un abito da cerimonia adatto al mio fisico curvy, che nasconda un po’ le forme. Ma Arturo, il sarto, è dell’idea che io debba valorizzarle. Con qualche esitazione, mi affido a lui. Ed è la scelta giusta. In molti sensi.
Pubblicata sul n.17 – 22 aprile 2025 della rivista «Confidenze» di Mens Sana Edizioni.
NOTA PER I LETTORI:
Faccio scorrere le dita su tessuti diversi di vestiti disposti in file ordinate. Soppeso la manica di un soprabito tra le mani e la lascio andare. In sottofondo il ronzio della musica e il mormorio delle persone nella boutique.
Prendo un altro vestito dall’appendiabiti. «Uff, Non ce ne è uno che indosserei per la pura gioia di vedere come lo sento sulla mia pelle, come si muove con il mio corpo. Guarda questo beige.» Mi si afflosciano le spalle. «Mi mette tristezza solo a guardarlo.»
Marco mi toglie dalle mani il vestito con i volant. «Tesoro, va bene che sei sopraffatta dalla pressione di apparire perfetta al matrimonio di tua cugina.» E lo riappende «Ma adesso non cerchi più un vestito. Giochi a nascondino con la tua sicurezza.»
Sospiro «Sì ma di questo passo indosserò i jeans e una blusa elegante… Dai, non posso presentarmi come se andassi a un picnic!» Mi cade l’occhio su una sciarpa vivace. «Ecco, solo con quella mi immagino i posti in cui potrei indossarla, le storie che potrebbe raccontare. E per il resto… Cosa mi metto?»
Marco mi si avvicina. «Ti ho mai parlato di un mio amico sarto? È un cliente: si fa fare barba e capelli nel mio negozio da anni.» E s’inclina verso di me. «Fossi in te, ci farei un pensierino e lo consulterei.»
Gli abiti appesi alla rastrelliera, che faccio scorrere, penzolano mosci dalle loro stampelle. Scuoto la testa, mi volto verso Marco e alzo un sopracciglio. «Un sarto? Non ci sono mai stata. E se mi misura e poi mi chiede perché sono così… così… Abbondante?»
Marco alza gli occhi al cielo «Oh per favore, Eleonora. Non ti devi infilare in uno stampino; è l’abito che deve valorizzare le tue curve. Fidati, Arturo fa miracoli con le sue forbici.»
Trasalisco. «Miracoli? Mi hai fatto venire ancora di più l’ansia.» Faccio un respiro profondo. «È uno sconosciuto, cosa ne sa dei miei gusti? Secondo te io lo chiamo e gli dico di farmi l’abito perfetto?»
Marco batte le mani con un tocco energico. «Forza, Eli, esci dal tuo guscio. Chiamalo e fissa una prova.» Mi sorride con gli occhi che gli brillano. «E se riuscisse a fartelo l’abito perfetto? E a farti scoprire il tuo fascino?»
Mi mordo il labbro e mormoro. «… Fascino… » Alzo gli occhi al cielo. «Va bene, lo chiamo. Ma ricordati che se si rivela uno strano e non ci accordiamo, è colpa tua.»
***
Il ronzio sommesso di una macchina da cucire vintage e un vestito su un manichino, con una sola manica e le impunture imbastite con spago bianco, sono le prime cose che mi accolgono nel laboratorio.
Alla parete pezze di tessuto disposte sugli scaffali per colore e consistenza, sono come la tavolozza di un pittore.
Respiro il profumo della lana pressata. Dal cashmere più morbido al tweed più robusto, ognuno racchiude una promessa unica, in attesa di essere sbloccata. «Uau, questo posto è… Affascinante.»
Arturo alza lo sguardo dalla macchina da cucire e sgrana gli occhi «Oh! Ciao. Benvenuta… Non aspettavo nessuno così presto.»
Mi stringo le mani e giocherello con le mie dita. «Giusto, scusa! Mi manda Marco. Sono Eleonora. Eli.»
Arturo si aggiusta gli occhiali sul naso, con l’indice. «Sì, ricordo… Ti ha menzionato. Uhm, adesso ti prendo le misure.» Si toglie un ditale consumato e lo appoggia sul tavolo da lavoro.
Due abiti già realizzati, sui manichini, mi ipnotizzano: potrebbero prendere vita e raccontare ognuno una storia incantevole.
Sorrido, arretro di un passo e momenti faccio cadere una scatola di spilli appoggiata su uno sgabello. «Marco pensa che sarai perfetto. Però non misurare anche le mie insicurezze, ok?»
Lui ridacchia. «Prometto che misurerò solo le tue dimensioni.»
Ridacchio anch’io. Arturo trova in un cassetto un metro a nastro ammorbidito dagli anni di utilizzo.
***
Sono sulle spine ma sfodero un tono di voce squillante. «Sei davvero meticoloso con queste misurazioni! Mi devo preoccupare?»
Arturo ha lo sguardo concentrato sul blocchetto dove annota i dati. «Sentiti lusingata. Hai una forma unica.»
Arrossisco. «È un modo gentile per dire curvy?»
Arturo alza lo sguardo. «No, è un complimento. Il tuo corpo merita di essere evidenziato e raccontare la sua storia.»
Un dolce tepore mi s’irradia in tutto il corpo. Non mi aspettavo che le sue parole mi facessero questo effetto.
«La mia storia è un lavoro in divenire, ok?»
Arturo mi fa un sorriso che gli arriva fino agli occhi. «Lo siamo tutti, Eli. Traiamone un abito unico.»
Tra noi cala un silenzio carico di comprensione.
***
Arturo apre il blocco di schizzi sul grande tavolo in legno massiccio e mi indica un bozzetto del mio vestito. Gli brillano gli occhi. «Ecco cosa ho immaginato per te.»
Mi avvicino, con una mano appoggiata al mento e scuoto la testa. «Hmm… Non è come me lo aspettavo. Voglio dire, hai visto le mie curve…»
Lui mi posa una mano sul braccio e m’interrompe. «Fanno parte dell’eleganza. Questa linea ti valorizza, non ti nasconde sotto un sacco. Fidati Eli.»
Mi mordicchio il labbro. «Secondo te posso osare a indossare un abito che valorizza così le mie curve?»
Lui appoggia una mano sul bordo del tavolo e incrocia una gamba davanti all’altra, con un sorriso giocoso. «Non ci sono solo loro, Eli. Ci sei anche tu e ogni punto parlerà della tua personalità.»
Ho una stretta allo stomaco all’idea di rivelarmi con quell’abito… Ma anche un brivido lungo la schiena.
***
Il profumo del cotone appena tagliato si mescola all’aroma delle tinture.
Questo negozio è ingombro di pezze di tessuto di ogni colore e consistenza immaginabile. La seta disposta sugli scaffali si affianca al denim robusto, le stampe a fantasie vivaci esplodono accanto al tweed tenue. Rotoli disordinati ma a loro modo ordinati.
Prendo in mano un tessuto luminoso. «È un oceano di texture… Che ne dici di questo? Così brillante si fa notare.»
Arturo alza un sopracciglio. «È una fantasia vistosa. Un po’ troppo.»
Incrocio le braccia al petto, sulla difensiva. «Non adatta a me?»
Scuote la testa e il suo respiro è regolare. «No, è più una questione di equilibrio. La finezza si esprime meglio con la sottigliezza.»
Lascio andare il tessuto. «Sì, signor precisino, hai ragione tu. Ma non rinuncio alla brillantezza!»
Lui mi sorride ma non arretra di un centimetro. «Non dobbiamo accecare nessuno al matrimonio di tua cugina.»
Ridiamo tutti e due e ci guardiamo negli occhi più a lungo del dovuto. Le mie guance avvampano e distolgo lo sguardo. «Allora esploriamo altri tessuti.»
***
La luce irrompe dalla finestra e lo specchio riflette la mia immagine con il vestito in lavorazione. Arturo, alle mie spalle, sistema la parte sul dorso e non vede la mia smorfia di disappunto. «Non sarà troppo stretto sui fianchi?»
Lui distoglie lo sguardo dalla mia schiena. «Aspetta che do un’occhiata. Sì, te lo sistemo. Fai un bel respiro… »
E io faccio un respiro profondo.
Le pezze di tessuto, disposte sugli scaffali per colore e consistenza, sono la tavolozza di un pittore.
Solleva gli occhi verso di me, riflessa nello specchio. «Tranquilla, è normale sentirsi a disagio durante le prove. Ci vuole un po’ ad abituarsi a un abito dal taglio diverso da quelli che sei abituata a indossare.»
Accenno un sorriso. «Più facile a dirsi che a farsi. Sto davanti a uno specchio, mezza vestita… E sono un guancialetto vivente per gli spilli.»
Lui ridacchia. «Sprigioni femminilità anche così. Senti, ti allento anche questa cucitura?»
Sospiro e mi bilancio sui tacchi. «Sì, per favore. Mi sento un po’ costretta.»
Lui si ferma e mi guarda dritto negli occhi. «La moda dovrebbe farti sentire a tuo agio, non intrappolarti. Eli, se tu ti senti bella, emani fascino e fiducia in te stessa.»
Annuisco. «Sono ancora sorpresa di stare così bene con un taglio mai provato prima. Devo abituarmici.»
Arturo mi aggiusta la stoffa. «Con l’abito finito in dosso ti sentirai una principessa.»
Arturo ha ragione ma io voglio trovare qualcuno che mi ami e mi accetti per quello che sono come persona, al di là del mio corpo. Eppure lui è la prima persona che mi guarda con occhi diversi dagli altri uomini.
***
Arturo mi raggiunge sul marciapiede, fuori dalla sartoria, volta il cartello su chiuso e chiude a chiave la porta.
Il sole getta su di noi una luce calda e ci spostiamo all’ombra di un albero piantato in un’aiuola recintata. Poco più in là le note della chitarra di un artista di strada risuonano dolci nell’aria. Il suo cane, legato al guinzaglio alla recinzione, ne annusa i bordi e scodinzola.
Allo stridore dei freni dell’autobus urbano che accosta alla fermata affollata di passeggeri, faccio una smorfia e mi inclino di lato con il busto, verso Arturo. «Non ti liberi più di me, vero?» e torno eretta.
Lui ride. «Neanche per sogno. Dì la verità: ti piace tenermi occupato.» E mi strizza l’occhio.
Un passante che parla al cellulare mi urta ma non gli dico nulla: corre per prendere l’autobus.
«Come è nata la passione per questa professione?»
Lui si porta una mano al mento, pensieroso. «Mia nonna. Era una sarta e la guardavo creare bellissimi abiti da zero… Mi sono innamorato della sua arte. Comprendere i bisogni delle persone e tradurli in un abito mi dà molta soddisfazione.»
Gli faccio un sorriso che mi cresce fino agli occhi. «Che bella storia, Arturo.»
Una folata di vento soffia tra gli edifici vicini e porta l’odore dell’olio da cucina delle friggitrici del fast food in fondo alla via.
Lui mi fa un cenno di ringraziamento con la testa. «Vedervi entrare in un luogo e prendere il vostro posto tra gli altri, con la sicurezza di chi si sente a proprio agio nella sua pelle e nel suo vestito, mi gratifica. Ho contribuito a creare fiducia e vi ho aiutati a esprimervi.»
Annuisco e comprendo l’importanza di preservare questo nobile mestiere artigianale, affinché non scompaia.
«E tu? Cosa fai oltre al guancialetto vivente per gli spilli?»
Mi scappa una risata argentina per l’enfasi con cui ha ricalcato l’espressione che ho usato alla prova del vestito. «Oh, di solito sono sepolta dal lavoro. Non è artistico come il tuo.»
«Tutto può essere una forma d’arte.»
Abbozzo un sorriso. «Sono assistente di direzione generale in un’azienda. Mi apprezzano al lavoro ma quando mi guardano come persona, vedono solo quello che c’è di differente rispetto agli standard fisici della società.»
Arturo alza gli occhi al cielo. «Che gente vuota: il valore di una persona sta sotto la superficie.»
Annuisco. «Eppure giudicano le mie curve… Occhiate fugaci, esitazioni sottili, conversazioni che s’interrompono quando entro in una stanza… »
Lui scuote la testa. «Le tue curve sono parte di te ma non ti definiscono. Non comprendono la profondità dei tuoi pensieri, quanto sei spiritosa e gentile.»
Un tepore mi s’irradia in tutto il corpo e gli sorrido. «Grazie, riesci a rendere tutto significativo.»
Il menù sullo stand fuori da un ristorantino mi fa venire l’acquolina alla bocca. Un cameriere porta dei piatti ai clienti, seduti ai tavolini all’aperto. La pasta alla Norma che ci passa sotto il naso, ci invoglia a entrare.
***
Arturo si arrotola le maniche accanto al tavolo dove sta la vecchia Singer di suo nonno e mi guarda. «Come ti ci senti?»
Io mi giro su me stessa «Molto meglio.»
Lui mi si avvicina. «Sì, sei più a tuo agio.»
Arrossisco. «Sei tu che mi fai questo effetto.»
Arturo scruta il mio sguardo e mi sorride con gli occhi lucidi. «C’è qualcosa di più della moda tra noi, vero?»
Abbasso lo sguardo. «Sì ma sappiamo tutti e due che è complicato.» E lo rialzo su di lui.
Art scruta il mio sguardo. «E ne vale la pena?»
La mia voce si riduce a un sussurro. «Forse.»
Lui annuisce e si ritrae. «Capisco. Allora non spingiamo le cose per ora.»
Il silenzio che cala tra noi è carico di sentimenti inespressi. I suoi occhi si sono incupiti e io mi volto dall’altra parte. Non riesco a sostenere il suo sguardo perché so che lo ho ferito.
***
Il tenue bagliore delle luci nella sartoria illumina la stanza. Lo specchio riflette la mia immagine con l’abito finito. I miei occhi sono sgranati ma il mio sorriso non li raggiunge.
Arturo fissa un orlo, la sua testa è altrove.
Rompo il silenzio. «Per me è perfetto così, cosa ne pensi?»
Lui annuisce, distratto. «Sì… Farai girare la testa al matrimonio di tua cugina.»
Faccio un sospiro leggero. «Peccato che tu guardi da un’altra parte.»
Ora abbassa proprio lo sguardo e il mormorio del suo «Scusami…» si sovrappone al suono del metro a nastro che si riavvolge.
Gli occhi mi si velano di lacrime. «Ho eretto un muro e ti ho respinto. Avevo paura di essere ferita.».
Lui annuisce. «E a volte i miei pensieri mi escono in una forma diversa da quella che intendo.»
I nostri sguardi, carichi di parole taciute, si incrociano.
Mi liscio con la mano una piega del vestito e mi torna il sorriso. «Sai, inizio ad amare il mio corpo. Chi avrebbe mai detto che avrei trovato la sicurezza qui, con te?»
Art sgrana gli occhi. «Sei raggiante, Eli.»
La scatola con i bottoni antichi recuperati da vestiti dimenticati, il ditale consumato, il metro a nastro ammorbidito dagli anni sono sul tavolo da lavoro.
Art me li indica con un gesto della mano. «Mi ricordano le generazioni di sarti e sarte della mia famiglia che mi hanno preceduto.»
Annuisco, attenta a seguire il filo del suo discorso.
Lui si schiarisce la gola, con gli occhi lucidi di commozione. «Ma è il legame che stabilisco con i miei clienti che rende questo spazio speciale. Qui ascolto i loro desideri, ansie, speranze per l’abito che immaginano.»
Sorrido con tutto il cuore. «Allora questo è un inizio per noi?»
Lui annuisce. «Avevo perso la speranza di trovare un persona che mi capisse, oltre la superficie… Ma sei arrivata tu.»
«Sono pronta a esplorare insieme a te qualunque cosa ci aspetti.»
Arturo mi abbraccia e le nostre risate riempiono lo spazio tra noi. Le mie guance infuocate, la scintilla nei suoi occhi… Assaporo il miscuglio di amicizia e amore nascente che c’è nell’aria.
Dove ci porterà il nostro viaggio? So solo che abbiamo i piedi ben piantati per terra e che siamo pronti a esplorare insieme ciò che ci riserverà il futuro.
***
IL MIO ANGELO
Marta ha bisogno di essere protetta e io ho l’età giusta per fingere di essere il suo fidanzato. È solamente il mio lavoro da guardia del corpo, eppure sento che la sua presenza ha un effetto positivo su di me.
Storia vera di Daniel B., raccolta da Simona Maria Corvese
Pubblicata sul n. 6 – 26 gennaio 2021 della rivista «Confidenze», alla data di pubblicazione di Stile Italia Edizioni.
“Daniel, il capo ti vuole parlare”, mi dice un collega al rientro dalla mia pausa pranzo. Salgo al nono piano per andare a sentire cosa mi deve dire Fabrizio. Lui è l’investigatore privato titolare dell’agenzia e Credo di sapere di cosa mi parlerà.
Sono stato a pranzo con alcuni colleghi e la sua assistente. È stata lei a dirmi che stanno cercando una persona della mia età, che faccia da bodyguard a una ragazzina di 17 anni, figlia di un direttore del personale che ha ricevuto minacce. Simona ha proposto me. Gli altri qualificati per questo lavoro, che sarà sotto copertura, sono troppo anziani per non dare nell’occhio.
Le porte dell’ascensore si aprono, interrompendo i miei pensieri. Entro nell’ufficio di Fabrizio con la speranza di ottenere quel lavoro.
Le cose infatti evolvono come ho sperato: il capo mi affida il compito di proteggere Marta e di tenere gli occhi aperti se noto qualcosa di sospetto tra le persone che frequenta.
Nel pomeriggio vado a casa sua e parliamo un po’ per conoscerci. Capisco subito che è timida ma credo di essergli riuscito simpatico. Anche lei lo è a me e la sua gentilezza mi ha colpito.
Entro in azione ufficialmente in occasione della prima festa natalizia cui parteciperà Marta nel fine settimana.
La sera della festa, quando entriamo in discoteca, destiamo l’attenzione di molte sue amiche. Subito si crea un nugolo di ragazze intorno a noi. Salutano Marta ma scrutano me con molta curiosità.
Marta, come abbiamo concordato, spiega che sono il suo fidanzato. “Siamo insieme da poco”, dice alle amiche.
“Non ti ho mai visto nella cerchia degli amici. Non sei di Milano, vero?”, osserva una delle amiche. Mi studia poi fa scivolare lo sguardo su Marta e la sua espressione è quella di chi dubita che due persone così differenti come noi possano formare una coppia.
Marta la rassicura. “Daniel è figlio di un amico di mio padre. Ha vissuto in Scozia fino a poco tempo fa, con la madre. Ora vuole trascorrere un po’ di tempo qui in Italia con il padre”.
L’amica annuisce ma non perde lo sguardo scettico che ha assunto.
“Brava la nostra Marta”, afferma lasciando trapelare un tono invidioso “Ti credevamo tutti ancora una bambina e invece guarda che ragazzo ti sei trovata!”.
Marta ha detto la verità. Io sono il tipico scozzese, molto alto, capelli neri, carnagione chiara e occhi blu. Non ho l’aspetto di un ragazzo italiano e l’amica di Marta l’ha capito subito. Ciò che mi ha infastidito però in quella ragazza è il tono con cui si rivolge a Marta: come se non la ritenesse capace di affascinare un ragazzo. Marta è una bella ragazza florida: non le manca proprio nulla per piacere agli uomini.
Seduto su un divano accanto a lei, osservo la sua reazione. Sorride ma non risponde e mi sembra persino intimidita. Mi fa tenerezza. Istintivamente cerca un sostegno nella mia mano. Sto al gioco e intrecciamo le dita. Sembriamo due fidanzatini ma la verità è che quel contatto mi ha scosso: mi ha fatto provare qualcosa per lei.
Non so ancora che rapporto ci sia tra lei e la compagna di classe ma osserverò con discrezione nei prossimi giorni per capirlo.
La serata scorre tranquilla, conosco tutti i compagni di classe di Marta e noto che uno di loro è interessato a lei. Spesso la guarda ma è un po’ timido. Provo un’assurda gelosia: cosa mi succede? Non so se lei si è accorta di aver destato la sua attenzione. Fatto sta che nell’arco della serata l’ho sorpreso guardarmi come un rivale in amore guarda il nemico.
Prima della fine della serata molte amiche di Marta mi hanno chiesto il numero di cellulare. Sarà un’impresa tenere a bada tutte queste adolescenti. Sorrido al pensiero. Dubito che tra loro si possa nascondere l’autore delle minacce rivolte al padre della ragazza. Fabrizio, il mio capo ha già raccolto elementi che lo portano a pensare che tutto sia iniziato nel suo ambiente lavorativo.
Usciamo dal locale che è quasi la una di notte. È un bellissimo venerdì di dicembre con una stellata meravigliosa e l’aria pungente.
Mentre stiamo andando a prendere la macchina, Marta mi si avvicina. La osservo e mi sembra bellissima, con quella cascata di riccioli castani dorati e gli occhi azzurri.
“Sei davvero scozzese, Daniel?”, mi chiede con una gentilezza che mi fa scogliere.
“Lo sono per metà”, le spiego. Il fiato mi esce dalla bocca formando una nuvoletta, tanto fa freddo a quell’ora. Mi stringo nel cappotto e allungo il passo per scaldarmi ma subito dopo rallento. Marta mi arriva sì e no alle spalle, non ce la fa a starmi dietro a una simile velocità.
“Mio padre è uno chef italiano. Mia madre e mio zio sono scozzesi e hanno una palestra a Edimburgo. Quando vivo lì, lavoro nella palestra di mio zio. È lì che ho frequentato i corsi di karatè, fino a conseguire il terzo Dan”.
Camminando siamo arrivati alla macchina. Vi saliamo velocemente per riscaldarci.
“Vivi da molto qui in Italia?”, mi chiede lei, ancora curiosa.
Le spiego che sono qui a Milano da un anno. Vivo nella casa di mio padre, che al momento lavora negli Emirati Arabi. Ha conosciuto dei clienti che si sono innamorati della sua bravura e lo hanno portato con loro per tre mesi. Presto però tornerà a Milano, dove lo attende un contratto con un hotel a cinque stelle e starà un po’ con me.
Marta ascolta con attenzione le mie parole. “Che cosa ti ha portato in Italia, Daniel?”.
Le confesso di aver conosciuto Fabrizio, il mio capo, mentre era in missione in Scozia, un paio di anni fa. Io ho sempre sognato di diventare un investigatore e l’ho da subito ammirato. Lui è esattamente ciò che vorrei essere io tra qualche anno.
Ho imparato molto da lui su questo lavoro ma negli ultimi tempi il rapporto lavorativo tra noi non è più lo stesso. Fabrizio mi dice che sono impaziente di fare cose più grandi di me e questo può portarmi a fare errori sul lavoro.
Marta mi rassicura. È certa che presto supererò questo ostacolo e mi sorprende ringraziandomi per la mia presenza: “Sei il mio angelo di Natale, Daniel”.
La sua sensibilità mi tocca nel profondo. Avvio il motore dell’auto per riaccompagnarla a casa e per tutto il tragitto non parliamo più, assorti come siamo nei nostri pensieri.
Non faccio in tempo ad arrivare da mio padre, che il cellulare mi notifica dei messaggi. Sono due amiche di Marta che mi chiedono di uscire insieme una delle prossime sere. Una delle due è la ragazza da cui Marta è intimorita.
“Belle amiche!”, mormoro, ridacchiando.
Le feste e l’inverno trascorrono velocemente e ho modo di conoscere meglio Marta e le persone che frequenta. Nessuno di loro è una minaccia per la ragazza ma è accaduta una cosa spiacevole. Alcune compagne di classe, capeggiate dalla ragazza che ho conosciuto la sera della festa natalizia in discoteca, la deridono. Io ho accettato amicizie virtuali con queste ragazze per poterle studiare e ho dovuto constatare, con amarezza, che sul suo conto hanno fatto girare affermazioni offensive. “È grassa”, “Cosa ci fa quel mostro insieme a quel bel ragazzo?”, “Ma hai visto che faccia ha? Lei vicino a lui fa vomitare”. Senza parlare dei tentativi di seduzione che ho ricevuto da alcune di queste ragazze, a sua insaputa.
La mia presenza per fortuna toglie forza a simili insinuazioni. Finché sono qui ad assolvere il mio compito, dimostro che Marta piace a un ragazzo più grande di lei.
Lei si è accorta delle maldicenze e ci è rimasta male. “Sono contenta che tu mi sia vicino. Se tu non fossi stato qui per le minacce che ha ricevuto mio padre, sarei stata completamente sola ad affrontare questa situazione”, mi ha confidato, chiedendomi di non parlarne ancora ai suoi genitori, che sono già preoccupati per altri motivi.
Marta è una ragazza matura. Durante questi mesi ho avuto modo di conoscerla: è sensibile e dolcissima. È florida ma non è certo grassa. Il suo bel modo di fare ha messo a dura prova la mia professionalità. Io devo pensare a proteggerla, sotto copertura ma mi è sempre più difficile tenere a bada i sentimenti che comincio a provare per lei.
In compenso sto facendo ingelosire sempre più il compagno di classe che conobbi a dicembre.
Passati sei mesi la mia agenzia investigativa ritiene sia giunto il momento di organizzare la mia uscita di scena, senza insospettire.
“È ora di fingere una bella rottura del vostro fidanzamento”, mi ha detto Fabrizio.
Ho fatto presente che non è il momento giusto per farlo. Con tutte le maldicenze che girano sul suo conto di Marta, si consoliderebbe l’idea che è stata lasciata perché non è abbastanza attraente per un uomo. “… e sono incapace di lasciarla andare”, vorrei anche dire ma non posso.
Suggerisco una soluzione diversa e Fabrizio mi dà il suo benestare.
Decido così di sbloccare una volta per tutte la faccenda del pretendente timido. Voglio vedere Marta felice prima di andarmene. Negli ultimi giorni della mia missione mi faccio vedere particolarmente premuroso con lei. Anche quando l’aspetto all’uscita dalla scuola l’abbraccio teneramente davanti a tutti. In alcuni momenti ho persino avuto l’impressione che non fingessimo ma che tra noi ci fosse veramente qualcosa. Fatto sta che le mie premure nei suoi confronti sortiscono l’effetto voluto. Qualche giorno fa il mio rivale in amore si è fatto avanti, scrivendole un bigliettino. Ho parlato con Marta per capire se questo ragazzo le piace e credo che non lo sappia neanche lei. Si sente lusingata dall’interesse che Marco le mostra ma parlare di un sentimento è ancora prematuro. Credo che Marta si stia affezionando a me, quanto io mi sono affezionato a lei in questi mesi. A ogni modo non voglio incoraggiare questa simpatia tra noi. Io conduco una vita molto libera. Non posso chiederle di legarsi a me, ma sono combattuto: provo dei sentimenti per lei, non solo attrazione.
Lavoro allora per farle vedere Marco sotto una luce interessante e i miei sforzi vanno a segno.
Nell’arco di poche settimane la simpatia tra loro due decolla e io posso uscire di scena, fingendo di essere stato lasciato da lei.
Agli occhi di tutti coloro che stavano cercando di ridicolizzarla, risulta che è stata Marta a lasciarmi, perché ha ritenuto più interessante Marco.
Ho mostrato la mia tristezza per essere stato lasciato ma non ho finto: l’ho provata veramente nel momento del distacco e l’ho letta anche nei suoi occhi. Spero che non si sia finta interessata a Marco perché ha capito che tra noi due non c’è futuro. “Vergognati, Daniel”, mi dico “Hai creato tu questa situazione, frenando i tuoi sentimenti” poi metto a tacere la mia coscienza.
Fabrizio mi ha fatto i complimenti per come ho condotto la missione. Nessuno ha mai sospettato che fosse tutta una finzione. Nonostante l’encomio, le nostre incomprensioni sono diventate sempre più forti. Mi sento pronto per ruoli di maggior responsabilità ma lui non vuole darmi fiducia. Decido così di lasciare l’agenzia investigativa e tornare a Edimburgo. Forse è questa mia impulsività che lascia diffidente Fabrizio. La stessa che mi ha impedito di credere in un futuro con Marta. Ho bisogno di riflettere e torno a lavorare alla palestra di mio zio, per un po’.
I mesi trascorrono ma non riesco a dimenticare Marta. Mi domando se sia giusto ricontattarla per un saluto, per sentire la sua voce.
Un pomeriggio di luglio, mentre tengo una lezione di difesa personale, ricevo una visita in palestra.
“Daniel, c’è una ragazza che ti cerca. Quando hai finito passa in reception”, mi avvisa mio zio Duncan.
Con mia grande sorpresa scopro che la ragazza è Marta. “Cosa ci fai qui?”, chiedo maldestro e ancora sopraffatto dalla sorpresa. Sono così felice di rivederla che è impossibile celare i miei sentimenti in questo momento. Marta se ne accorge. È raggiante ma anche sollevata dalla mia reazione: forse ha dubitato che io non avrei gradito la sua visita.
“Sono qui in vacanza studio. Tutti gli anni trascorro un mese in Irlanda. Quest’anno ho preteso che mia madre mi mandasse a Edimburgo. Ancora non si spiega perché io abbia voluto cambiare”, mi risponde ridendo, maliziosa.
“Come hai fatto a trovarmi, piccola Sherlock Holmes?”, le chiedo ridendo, mentre le offro un tè alla macchinetta self-service.
Marta rivela di aver parlato con l’assistente di Fabrizio, ottenendo da lei l’indirizzo della palestra di mio zio. Simona e io ci siamo tenuti in contatto in questi mesi e da lei ho saputo di aver ancora possibilità di tornare a lavorare con loro. Sono io che non ho ancora sciolto i miei dubbi.
Chiedo a Marta come vanno le cose con Marco e scopro che non sono più insieme. “Non ho mai provato per lui quello che provo per te”, confessa.
Ho un attimo d’imbarazzo e non riesco a dirle che anch’io le voglio bene. Spero di non averla ferita.
Apprendo però che le sue compagne hanno smesso di tormentarla e sono felice di aver contribuito a fermare quei comportamenti mortificanti.
Per tutto il mese Marta e io ci frequentiamo, liberando i nostri sentimenti. Lei mi convince a seguire le mie aspirazioni e in autunno torno in Italia ma non prendo subito contatti con l’agenzia investigativa. È per lei che sono tornato. Un sabato mattina andiamo a correre al parco Sempione e lei mi sorprende.
Ci sono anche suo padre e Fabrizio a correre ma faranno un percorso diverso.
Prima di separarci i due uomini mi salutano e il padre di Marta mi ringrazia per il buon lavoro che ho fatto con sua figlia. Finito dell’allenamento Marta e io ci fermiamo davanti alla recinzione del laghetto con lo sguardo rivolto al Castello Sforzesco. In quel momento arriva Fabrizio e cominciamo a parlare, un po’ impacciati. Marta mi dice che porta il Labrador del padre a giocare nel prato lì vicino. Ha l’aria di chi ha organizzato quest’incontro ma le sono grato per l’iniziativa.
Alla fine Fabrizio e io ci chiariamo. Lui capisce che sono pronto ad assumere ruoli di maggior responsabilità e io mi impegno a lavorare molto sulla mia impulsività.
Marta è il mio angelo e mi ha rubato il cuore. Grazie a lei ho capito che il mio futuro è in Italia, come investigatore privato e mi sento un uomo fortunato ad averla come compagna.
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